Il 14 agosto 2021 si è spento, nella città bruzia, Giuliano Di Cola. Nel 1984 Giuseppe Alario (all'epoca direttore della Kodak) tracciò un breve ritratto del fotoreporter marchigiano; di seguito parte del testo pubblicato nel catalogo Monte Athos. Lo stato di Dio. Reportage fotografico di Giuliano Di Cola.
«Un personaggio dolce e forte, spigoloso ed estroverso, trepidante e determinato, emotivo e pacato. Un personaggio contraddittorio che ha forgiato il suo carattere il suo 'essere per essere' all'incrocio di fatti casuali ma prestabiliti che lo hanno avvolto, stretto, violentato in una serie di costrizioni, di perdita e di rinunce inevitabili. Un destino segnato, faticoso fin dall’inizio, gravido di conseguenze cui Giuliano non avrebbe potuto sottrarsi se non capovolgendone la valenza, trovando cioè in esse l’espressione della più orgogliosa indipendenza, d’una istintiva smisurata conferma di libertà nel libero sfogo della passione, della fantasia, della creatività, del fare poetico ed artistico, insomma. La fotografia diventa molto presto la sua possibilità di riscattarsi, di esprimersi oltre le abitudini e le convenzioni di una asfittica pratica della pura sopravvivenza economica, cogliendo i segni dell’assoluto, i segreti che dividono la realtà interna da quella esterna, il senso ultimo, le più sottili ed antiche antinomie della vita. Con le spalle al futuro ma con l'intelligenza rivolta a domani, Giuliano usa la fotografia in un modo preciso e specifico esaltandone le caratteristiche più dirette, più originali, ma non si lascia sopraffare dalla supplenza che la macchina opera sull'uomo tecnologizzato per cui esalta tutte le qualità che la chimica e l'ottica fotografiche gli consentono E lo fa quasi con puntiglio teutonico ma propriamente per liberarsene e per costruire il suo registro organico. Così, nei contenuti, egli non abbandona la preoccupazione di riprodurre l'aspetto esatto delle cose ed affina anzi il procedimento descrittivo dandogli addirittura nuova dignità. La descrizione, la presa diretta sulla realtà com'è percepibile dell'obiettivo non scadono però ad operazioni di compiaciuta ostentazione 'notarile'. La fedeltà al mezzo fotografico non diventa ‘stile catalogo’ e la descrizione veristica, naturalistica, non è essenziale, né fine a se stessa, ma il supporto di composizioni di ampio respiro simbolico ed emblematico. Gli orizzonti della fotografia moderna, sperimentale, si stanno via via impoverendo sotto l'imperversare d'una controprassi che riverbera, in oscuri bagliori di autodistruzione dell'uomo, la morte della sensibilità del significato più intimo, misterioso, poetico delle cose. Tutto è stravolto e la deformazione, come totale e meccanica rigenerazione espressiva, prende il posto dell'impressione cancellando in un devastante nuovo delirio estetico quel quid che aldilà della parvenza essa, invece vorrebbe dimostrare. Giuliano, armonizzando magnificamente il bisogno di nuove, razionali, procedure interpretative e di legami con il passato ovvero con uno stile tradizionale maggiormente valido, svolge i suoi temi, la sua sensibile e polimorfa ricerca nell’ambito descrittivo spostando però l’equilibrio delle sue prodigiose realtà ottiche dal dato visivo al dato educativo. Giuliano produce visioni ed ispirazioni rifabbricando in chiave flaubertiana le ‘cose viste’: fa confluire, cioè, in un’unica ed impetuosa cataratta sia le acque del realismo sia quelle del romanticismo. Ricomponendo, così, con insolito vigore penetrativo, la poetica grandezza di piccoli frammenti di realtà o di favola in quadri fotografici nudi ed analitici per il loro valore interno e quasi pittorici per la composizione delle figure, dei toni, delle luci sempre bloccati in un irripetibile flash di perfezione formale, insuperabile ed eterna bellezza, egli pone le sue immagini decantate non già davanti agli occhi dell’osservatore ma davanti al suo intelletto. Anche quest'ultimo lavoro nel cuore dell'ascesi pura, nel giardino di Dio coltivato da straordinari personaggi che in perenne veglia religiosa, di preghiera, resistono alle nuove motivazioni storiche, propone con mirabile sintesi la capacità di Giuliano Di Cola di unire la prontezza di riflessi del fotografo aggressivo e moderno con il mestiere fine, sedimentato, elegante del fotografo d'altri tempi abituato a meditare e rimeditare sui prodigi dell'arte ottica. L'Athos, il monte sacro, la realtà proibita, un monachesimo senza tempo e fuori dal tempo, hanno dato a Giuliano la possibilità di esprimere per intero il suo lirismo ed anche l'impietosa perfezione del suo 'sguardo' artificiale cosicché un piccolo spaccato di natura e di vita lontani e misteriosi diventano in se stessi tutto il mondo. L’esatta distribuzione dei toni, l’eleganza compositiva quasi geometrica, l’intenso pittorialismo dei soffi di luci ed ombre, insieme a una nitidezza senza sbavature, improvvisa e tagliente ed infine un colore sempre saturo od intensamente fotografico, mai assunto però come referente assoluto ma come variante nel gioco di specifiche sensazioni anche non realistiche, trasformano ogni cosa rappresentata in una favola ma anche nel ritratto di un luogo, di una certa umanità e nella scena dei riti che appartengono ad un momento storico preciso. Un’opera moderna in cui si insinua beneficamente l’arcano del passato come discreta, imperscrutabile, pressione sul presente. Nella doppia inerenza – superficie morbida/ substrato forte – Giuliano Di Cola promette di affermarsi come il più grande fotografo sinfonico oggi operante in Italia […]». (Peppino Alario, 1984)